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Ollomont

  • Guido Pizzorno
  • 8 nov 2018
  • Tempo di lettura: 1 min

Aggiornamento: 10 mar 2019


A Oyace sono arrivato intontito e dolorante ma dopo una breve sosta mi sono sentito nettamente meglio. Un bel sentiero nel bosco, salito ad un ottimo ritmo in compagnia di tre simpatici trailer, ci ha portato al sottile intaglio del Col Brison. La montagna forma un promontorio che separa la valle in due rami. Oltre il colle ancora un ripidissimo e interminabile toboga.

Gran fermento sul prato antistante la base vita di Ollomont. È tutto un passarsi forbici, cerotti, bende, protesi al silicone da posizionare dove un tempo c’era cute. È stata una fantastica ma lunga e faticosa settimana anche per gli assistenti che hanno dovuto adattare i bioritmi ai tempi dei concorrenti. Sorrisi sui visi stanchi.

Un po’ di cibo, un breve sonno, poco più di un’ora, e poi si va. Ancora una volta, dopo una tappa durissima, la salita al Colle di Champillon, milleduecento metri, pare facile e veloce. Un continuo alternarsi di condizione fisica e stato mentale. Morte e resurrezione.

Quali sconosciuti processi biochimici estraggono ancora molecole di ATP da fornire a esauste miofibrille? Quali diabolici ormoni mantengono in piedi lo stagionato organismo? Tutti i recettori degli oppioidi occupati.

Intanto. Arriva la notte. L’ultima.

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