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Perché invecchiamo?

  • Guido Pizzorno
  • 10 mag 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

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Molti anni fa, bambino di cinque anni, stavo inginocchiato a terra con le braccia e il capo appoggiati sulle gambe di mia madre. Ricordo bene il tepore e il suo odore. Mi pareva di non poter avere altro rifugio.

E ricordo molto bene il dolore che provai in quel preciso momento realizzando che quella giovane donna, come altri attorno a me, sarebbe progressivamente cambiata, sarebbe invecchiata e, alla fine, sarebbe morta.

Un bimbo non ha armi per difendersi da una tale terribile consapevolezza. Crescendo impariamo, non senza sofferenza, a considerare l’invecchiamento e la morte come parte della vita.


Perché invecchiamo? Perché invecchiano i nostri organi, i tessuti e le cellule che li compongono? Filosofi e scienziati si sono posti, nei secoli, la domanda ma una risposta univoca ancora manca.

Se da un punto di vista evolutivo pare sensato che un organismo, assolti i compiti di procreazione e di cura della prole, debba lasciare le risorse a organismi più giovani ed efficienti, non sono chiari i meccanismi che portano a questa tragica selezione.


In natura gli animali muoiono in quanto prede di altre specie, per malattia, per fame o per sete. L’evoluzione della civiltà umana, rendendo più rari questi eventi, è un artefatto dell’equilibrio naturale. Probabilmente anche Homo sapiens non era progettato per sopravvivere così a lungo!


Il miglioramento nella diagnosi e della terapia delle principali malattie ha portato ad un allungamento dell’aspettativa di vita (si pensa sia possibile in teoria raggiungere i 125 anni) ma questo non ci rende immortali.

Importante ribadire che l’invecchiamento non è la conseguenza di malattie ma è la base biologica su cui molte malattie insorgono.


La ricerca ha come obiettivo, con il miglioramento della condizione dell’uomo in età avanzata, anche la riduzione delle spese sanitarie, che diverranno a breve insostenibili per gli Stati.

La scoperta di farmaci o trattamenti che possano essere il vero “elisir di lunga vita”, sarebbe un business, si immagina, di proporzioni colossali.

Ma ad oggi quel tipo di soluzione non si intravvede: alterare farmacologicamente delicati meccanismi potrebbe essere molto pericoloso e portare a guai maggiori dell’invecchiamento stesso.


Esistono innumerevoli teorie che tentano di spiegarne i meccanismi. Alcuni di questi derivano da eventi biologici intrinseci agli organismi, altri dipendono dall'intervento di agenti esterni.

Possiamo arbitrariamente raccogliere le principali in quattro gruppi.


1- Alterazioni genetiche


Ciò che differenzia gli organismi viventi dagli oggetti inanimati è la capacità di rinnovarsi per riparare i danni subiti dall’ambiente.

Il patrimonio di informazioni che le singole cellule di un tessuto conservano e trasmettono alle nuove cellule è stipato nei cromosomi. Ad ogni suddivisione cellulare questi sono, per così dire, copiati con una sorta di “stampo”. Il processo non è infallibile e gravato da errori sia casuali che determinati da agenti esterni come radiazioni o reazioni chimiche. Se non immediatamente letali per la cellula queste mutazioni ne causano il progressivo malfunzionamento e, soprattutto, possono essere trasmesse alle cellule figlie.


Una larga parte dei cromosomi non trasporta istruzioni per produrre proteine o quant’altro ma è apparentemente inutile. In realtà la ridondanza di informazioni è un meccanismo di difesa. La parte terminale di ogni cromosoma, il telomero, privo di vere informazioni, è importante nel mantenerne l’integrità. Con il passare del tempo, mentre siamo distratti, i nostri telomeri si accorciano e questo non porta a nulla di buono.


Cellule di tessuti molto diversi non possiedono inaspettatamente un patrimonio genetico molto differente. Il diverso aspetto e le diverse funzioni dipendono dall’espressione genica. Semplificando si può dire che nei vari tessuti si utilizzano gruppi di geni diversi mentre altri, seppur presenti, restano silenti. Guarda caso anche questo meccanismo si altera nell'invecchiamento.


2 – Stress ossidativo, infiammazione, immunità


Durante la produzione di energia, che avviene in organi cellulari chiamati mitocondri, veri minuscoli bruciatori, si producono sostanze affamate di elettroni, i famigerati radicali liberi, che hanno la cattiva abitudine di danneggiare altre molecole. Questo è un processo fisiologico bilanciato entro certi limiti da meccanismi di protezione. Radicali liberi si producono anche durante altri processi, come il metabolismo dei grassi o le reazioni infiammatorie e immunitarie, o in seguito all’esposizione a radiazioni (anche ultraviolette), a fumo e sostanze tossiche e, purtroppo, anche durante intenso stress psico-fisico.

Con l’invecchiamento i meccanismi di protezione divengono meno efficaci e molecole danneggiate si accumulano nelle cellule.


Anche la continua lotta del sistema immunitario contro ciò che non è riconosciuto come “amico”, porta nel tempo ad alterazioni. Diminuiscono ad esempio i linfociti realmente attivi nella difesa e aumentano i linfociti di sola memoria. Si instaura inoltre una sorta di stato infiammatorio cronico dannoso per l’organismo.


3 – Orologio biologico


Proprio nel centro del cervello sta ben nascosto l’ipotalamo, area di tessuto nervoso considerato il vero orologio biologico che determina i ritmi circadiani (come, ad esempio, il ritmo sonno-veglia) e controlla molte funzioni dell’organismo.

E’ strettamente collegato all’ipofisi, la ghiandola che secerne l’ormone della crescita e ormoni che controllano l’attività di tiroide e ghiandole surrenali e la produzione di ormoni sessuali.

La degenerazione di cellule dell’ipotalamo potrebbe essere in parte responsabile dell’invecchiamento alterando i meccanismi di controllo neuro-endocrino con ricaduta su ossa, muscoli e metabolismo.


4 – La glicazione


Gli zuccheri sono componenti fondamentali di molte molecole. Agganciati alla superficie delle proteine ne permettono il corretto funzionamento. Il posizionamento dello zucchero è determinato dall’azione di enzimi specifici.

Quando le proteine, ma anche i grassi, sono immersi in ambiente ricco di zuccheri può avvenire ciò che si definisce glicosilazione non enzimatica o glicazione, un termine sofisticato per dire che lo zucchero è attaccato nel posto sbagliato e che la molecola non funziona.

Questi composti (si definiscono AGEs o Advanced Glication End-products) sono presenti anche fisiologicamente ma aumentano in caso di eccesso di zucchero nel sangue e nei liquidi biologici. Un esempio di questi è l’emoglobina glicata, parametro comunemente dosato per valutare il buon controllo del diabete.

Ma si producono, e possono essere assorbiti, quando carni o grassi alimentari vengono portati a elevate temperature come, guarda caso, con la frittura o la cottura su griglia, e nei cibi prodotti industrialmente, anch’essi spesso sottoposti a elevate temperature.


La glicazione, come lo stato infiammatorio cronico, sembra essere responsabile dell’aterosclerosi che porta alla diminuzione dell’afflusso ematico nei vari organi e del progressivo irrigidimento del tessuto connettivo che forma l’impalcatura degli organi, dei muscoli, delle ossa, dei tendini e delle articolazioni.


Fermiamoci qui. A noi, ammassi ambulanti di cellule in precario equilibrio, il conoscere seppur grossolanamente certi eventi che ci riguardano deve spingere ad assumere i comportamenti più adeguati per garantirci una vita lunga, attiva e in salute.

Se non tutto ciò che emerge dalla ricerca può essere immediatamente tradotto in comportamenti utili nella vita di tutti i giorni, assistiamo oggi ad una svolta del sapere scientifico sull’argomento.

Si passa da vecchi termini come dislipidemia, apporto calorico e indice glicemico a concetti come glicazione, stress ossidativo, infiammazione cronica, nutraceutica, epigenetica. Si comincia a prospettare la necessità di un esercizio fisico definito come “vigoroso” in sostituzione del concetto di “moderata attività fisica aerobica”.


Insomma, c’è un gran fermento di cervelli là fuori.

Restiamo con le orecchie tese.

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